Molto spesso ci capita di ricevere messaggi di genitori dubbiosi e preoccupati per le sorti linguistiche dei propri figli nel caso, in un futuro prossimo, la famiglia decidesse di emigrare in Nuova Zelanda.
Le domande più frequenti riguardano lo sradicamento linguistico e culturale, la difficoltà di interagire con gli altri bambini, i tempi necessari per imparare un’altra lingua, i risultati a scuola e le conseguenze sul percorso educativo.

Lasciatevelo dire…troppo onanismo mentale. Lecito, ma sempre di onanismo si tratta.

Una breve introduzione sulla situazione demografica della Nuova Zelanda: in questo paese vivono poco meno di 4,6 milioni persone, per una densita’ media di 17.2 persone per km quadrato… Contando che ad Auckland ci vivono 1,4 milioni di persone, a conti fatti siamo veramente pochi su un territorio relativamente esteso.
Detto questo, e passando ai fatti rilevanti, in Nuova Zelanda il 74% della popolazione arriva dall’Europa, il 15% e’ di origine Maori, il 12% (in crescita) dall’Asia e il resto è di origine Pasifika (Tonga, Cook, Fiji, Samoa, Vanuatu, Rarotonga…). Ogni anno si aggiungono circa 100mila persone provenienti da altri paesi: migranti in cerca o già in possesso di un’offerta di lavoro, tra cui molte famiglie con bambini, e rifugiati, anch’essi con bambini al seguito.
Da questi dati si intuisce che la percentuale di persone che entrano in Nuova Zelanda con l’intenzione di stabilirvisi e la cui prima lingua non è l’inglese è abbastanza elevata, si aggira attorno all’80% se non di più.
Magra consolazione il non essere gli unici non-English speaker certo… ma ciò significa anche che, di fronte a questi numeri, il governo neozelandese mette a disposizione tutta una serie di soluzioni al problema linguistico disponibili per i migranti da 0 a 99+ anni.

Da linguista di professione potrei sbizzarrirmi e annoiarvi parlando dei vari tipi di bilinguismo, a seconde dell’età e della lingua parlata in famiglia, ma credo che sia molto meglio e molto più tranquillizzante sentire le esperienze di famiglie normali che vivono questa realtà tutti i giorni, perché in fondo è così che si prendono le misure su sé stessi.

Ma andiamo con ordine: i bambini da 0 a 4 anni. Eta’ prescolare.
Arrivati in Nuova Zelanda e sistemate le prime cose più urgenti (casa e auto, supponendo che il lavoro sia già più o meno andato in porto) sarebbe una buona idea portare i bambini in età prescolare ad un playgroup, più o meno assiduamente (2/3 volte a settimana), anche a playgroup diversi dato che di norma funzionano solo un giorno a settimana a seconda del quartiere e della località. Se i bambini sono già in età da Kindergarten (2+ anni e fino al compimento dei 5), iscriveteli senza nessun problema. Di norma si possono scegliere i giorni e le ore, magari vorrete procedere con calma e iniziare con 3 ore al giorno per 4 giorni e poi via via aumentare. Questa progressione è piùche altro uno scrupolo per placare i sensi di colpa di una mamma apprensiva che si sente male al pensiero di lasciare un bimbo piccolo che non parla inglese in una realtà linguistica sconosciuta. E poi dipende anche dal carattere del bambino. Molto importante è il colloquio preliminare con le maestre: sicuramente non sarà il primo bambino che non parla inglese che vedono, nello stesso kindergarten potrebbero essercene almeno altri 5. Sanno cosa stanno facendo e dovete fidarvi di loro. Parlate dei vostri dubbi e delle vostre paure, vi faranno a loro volta delle domande e da quel punto la palla passa a loro. E fino a qui si parla di genitori e delle loro paure… certo perché i bambini di solito se ne fregano. Loro vedono un posto con tanti giochi e un bel giardino e che quella gente là non sia comprensibile… be’ passa decisamente in secondo piano.

Mio figlio ha iniziato col botto, tutti i giorni 6 ore dalla seconda settimana in Nuova Zelanda. Aveva appena compiuto i 2 anni, era il più piccolo di tutti. Essendo il terzo di 3 non ha problemi di timidezza e si è da subito buttato nel mucchio. I suoi insegnanti si erano premuniti di google translator e ogni tanto gli chiedevano “Acqua?”, “Pipi’?”, “Fame?” e lui rispondeva in italiano con le parole che sapeva, usando molto i gesti e le smorfie quando capiva che il messaggio non arrivava. Il linguaggio del corpo e il contatto fisico sono importanti, non capendo un “Look!” o un “Come here!’” gli insegnanti indicano, disegnano, gesticolano. I bimbi poi imitano, quindi quando l’insegnante blatera parole senza senso e tutti corrono a prendere il pranzo… be’ in una settimana imparerà il significato di “Lunchtime!”. Dopo tre mesi mio figlio parlava un inglese di base, mettendo ogni tanto parole in italiano senza accorgersene, gli altri non capivano quella parola, ma lui non sembrava preoccuparsene. A quell’età infatti i bambini non riescono ancora a comprendere la differenza tra una lingua e l’altra, quindi usano le parole che sanno a seconda della lingua che usano in determinati ambiti. Se a scuola giocano con i Lego assiduamente, i Lego verranno poi associati all’uso dell’inglese, lo stesso per i turni con l’IPad, per la costruzione della pista del trenino, per l’angolo dei travestimenti. Le esperienze che faranno in inglese, con i relativi termini rimarranno impresse nella loro testa come tali in quella particolare lingua. Viceversa inseriranno in un discorso in inglese le parole che avranno imparato dalle esperienze ‘in italiano’ come ‘non tirare giù il finestrino’, ‘lavati i denti e vai a nanna’, ‘preparati per il bagno’.

Mano a mano il loro mondo linguistico si allargherà e a seconda della prevalenza di una o dell’altra lingua, una delle due prenderà il sopravvento… e la lingua dominante sara’ l’inglese.

Cosa dovrebbe succedere in famiglia in tutto questo tempo?

Di solito la coppia di italiani continua a parlare italiano, che è una cosa che io personalmente considero importante. Non per ‘conservare la cultura’ o ‘trasmettere i valori’…ma perché’ la lingua madre, quella spontanea è la lingua che deve essere usata per comunicare coi propri figli, fa bene al rapporto e fa bene alla comunicazione. Soprattutto è l’unica via da percorrere se volete che i vostri figli capiscano e parlino l’italiano in futuro. Dunque vi suggerisco di non farvi prendere dall’ansia, non passate all’inglese per comunicare con i bambini solo perché’ credete di ostacolare con l’italiano l’apprendimento dell’inglese, dentro alle loro teste c’è spazio per un altro paio di lingue, tranquilli.
Dalla fase che chiamo ‘Frate Salvatore’ si passa a ‘Non capisco mio figlio quando mi parla’, infatti non sapendo articolare bene le parole anglosassoni procederà per imitazione e qui siete fottuti: sarete voi a dover passare ai gesti. Quando capite cosa diavolo vogliono dirvi ripetetelo in inglese e poi in italiano e proseguite tranquilli in italiano, di modo che si ricordi il termine, dato che evidentemente in inglese lui l’aveva, voi no.
La fase successiva è quella del mantenimento dell’italiano: vi troverete davanti un anglofono capace di destreggiarsi in molte situazioni (da bravo quattrenne), che però perde i pezzi dell’italiano appena vi distraete un attimo. E’ una fase ilare: ‘Can I do the bagno?” quando prima era ‘posso fare il bagno’, ‘Should I pull up the finestro?’… neanche più ‘finestrino’ riesce a dire! E via così. Vi parlerà solo più in inglese, rispondetegli in italiano e assicuratevi che abbia capito… in tante occasioni mi capita di sgridare ‘uno dei’ in italiano con la foga del momento e poi di fronte alle loro facce perplesse mi tocca di ri-sgridarli in inglese con foga ormai esaurita ma comunque necessaria. Cazziatoni bilingui.
Verso i cinque anni inizieranno a leggere e a contare, per il momento non interferite con l’inglese buttandoci in mezzo lezioni di lettura parallele in italiano, aspettate magari ancora un anno e fate riferimento al fatto che in maori le vocali si leggono come in italiano per affrontare letture italiane leggermente più facili rispetto ad un loro coetaneo.

Il bilinguismo perfetto a questa età’ è un traguardo difficile, ma è possibile usando costanza e attenzione, per i genitori è un lavoro che richiede molta energia.

Vivendo in questo paese con grande percentuale di multiculturalismo mi è capitato di incontrare famiglie di tutte le provenienze: combinazioni kiwi/greche, turco/russe, italo/kiwi, franco/kiwi, italo/francesi. Tutti i bambini parlavano correntemente inglese, capivano le lingue dei genitori, nel migliore dei casi rispondevano in quella lingua. Il caso più stupefacente che deve essere di lezione secondo me a tutti i dubbiosi: padre russo, madre turca, vissuti in Canada francese per alcuni anni e trasferitisi in Nuova Zelanda: il padre parlava russo ai figli, la madre parlava turco ai figli, la famiglia nell’insieme parlava in francese e al di fuori della famiglia, con ospiti, a scuola ecc. si parlava in inglese. E nessuno faceva una piega. Come dicevo nella testa dei bambini c’è spazio per tutto.

I bambini da 5 a 11 anni: Eta’ della scuola primaria.
Questa età è leggermente più critica per un semplice motivo: in Nuova Zelanda la scuola primaria inizia a 5 anni e molti bimbi qui a quella età sanno già destreggiarsi con lettere e numeri, mentre di norma in Italia trascorrono ancora un anno alla materna.
Tuttavia ancora una volta è inutile preoccuparsi perchè esiste un programma di recupero che porterà i bambini non-English speaker a livello degli altri in tempi che variano dai 3 ai 6 mesi.
Se, come è successo a noi con nostra figlia, si arriva con un bambino di 6 anni appena compiuti che dovrebbe iniziare la prima elementare ma in Nuova Zelanda sarebbe in seconda… ecco questi programmi servono proprio a questo. Un insegnante apposta e alcuni genitori volontari si affiancano per qualche ora a settimana per fare letture di livello via via più complicato, finché non ci sarà più bisogno di loro. Lo stesso per la scrittura. Ai bambini nuovi arrivati spesso viene assegnato poi un bambino scelto all’interno della scuola che aiuta nella socializzazione e a cui ci si rivolge in caso di necessità. Quando sono arrivati dei bambini italiani nella nostra scuola i miei figli hanno fatto i tutor, loro non li hanno avuti e non è successo nulla.
I primi giorni di scuola sono i più delicati, forse meglio scegliere una scuola piccola con pochi bambini all’inizio, almeno noi abbiamo fatto così e entro 6 mesi i nostri figli di 6 e 8 anni parlavano inglese quasi come i loro coetanei. In scuole più grandi assicuratevi che ci sia il sostegno e l’attenzione necessari, se la situazione vi soddisfa va certamente bene anche una scuola più grande. Dunque i primi giorni di scuola i bimbi avranno bisogno di più sostegno: morale, saranno frustrati per non riuscire a fare quello che fanno gli altri, psicologico, non ci sono gli amici di scuola dell’Italia, fisico, la scuola neozelandese è fisicamente più impegnativa di quella italiana e i bambini kiwi sono più agili, veloci e resistenti, grazie al loro stile di vita più libero e ‘selvaggio’.
La mamma e il papà devono far capire che tutte queste differenze, vissute come mancanze, sono facilmente superabili, ci vuole tempo ma ci si arriva. Puntate magari sulla matematica, sulle scienze perché i bambini capiscano che il problema non sta nelle loro capacità, ma solo nella momentanea carenza espressiva. Tutto si risolverà presto nel migliore dei modi.
Ricordo che quando i bambini sono entrati per il primo giorno nella nuova scuola tutti i loro compagni sono arrivati a salutarli con grande affetto. Erano stati preparati al loro arrivo, sapevano che non li avrebbero capiti e si sono impegnati molto a farli sentire accolti e benvenuti. Di nuovo i gesti e il contatto fisico si sono dimostrati fondamentali. Per aiutare i bambini ad integrarsi cercate di stabilire delle relazioni con le altre famiglie della scuola e fate sì che i bambini si frequentino. Il gioco è un buon catalizzatore per la lingua orale.
Da genitore ho notato una grande differenza tra bambini introversi ed estroversi: nostra figlia che è tendenzialmente introversa ci ha messo 6 mesi ad uscire dal guscio, ma quando è uscita l’ha fatto col botto. Non e’ mai più stata zitta. Nostro figlio grande, che è invece molto estroverso, dopo 3 settimane giocava a calcio e a rugby in inglese ed è stato da subito molto veloce ad imparare a leggere e scrivere, in 3 mesi lui era indipendente.
Li abbiamo lasciati a scuola da soli dal primo giorno, anche se è possibile rimanere con loro per qualche ora, nel caso voleste farlo chiedete e vi sarà dato. Ma non è sempre necessario, anzi lasciati da soli, e magari con il loro tutor, i bambini si ingegnano e imparano a cavarsela più velocemente. D’altronde, se oltre a doversela cavare, devono anche preoccuparsi della mamma o del papà che li segue ovunque…mettetevi nei loro panni.
I compiti non sono tanti, ma assicuratevi che venga tutto capito e svolto bene, imparare bene e avere feedback positivi dagli insegnanti è importante per la loro autostima. Essere bravi a scuola, fare lo spelling tutto giusto, leggere speditamente ad alta voce davanti alla classe (oltre alla matematica e ai laboratori di scienze) significa anche sentirsi ‘uno di loro’. L’eccellenza è parte del bambino bilingue: le strategie di sopravvivenza che ha dovuto implementare a livello linguistico lo metteranno nelle condizioni di risolvere i problemi più velocemente, di trovare le soluzioni migliori, di essere più comunicativo e aperto al cambiamento. Ma soprattutto di essere più empatico e attento nei confronti dei bimbi stranieri nuovi arrivati… perché loro ci sono già passati.
Se avete tempo di preparare un minimo i vostri figli alla migrazione benvenga, magari qualche ora di inglese al pomeriggio, una ragazza alla pari in estate, filastrocche, Disney Channel, tutto va bene. Come per i bambini in eta’ pre-scolare ricordatevi che presto l’inglese prenderà il sopravvento e servirà concentrare gli sforzi sull’italiano.
Vi accorgerete anche che più il bambino è arrivato ‘grande’ in Nuova Zelanda, più il suo italiano è ricco e fluente. Ovvio. Saprà leggere e scrivere perché l’avrà imparato a scuola in Italia, quando gli chiederete qualcosa in italiano vi risponderà velocemente nella stessa lingua, con voi inizierà le conversazioni in italiano. Più il bambino è arrivato ‘giovane’, più si incepperà, avrà bisogno di parole, il suo italiano sarà magari meno ricco e tenderà a rispondere e ad iniziare i discorsi in inglese. Tutto normale. Introducete semplici letture in italiano quando la scuola in inglese non sarà più ‘un problema’ e gli insegnanti vi avranno confermato che ormai funzionano a regime.
Se doveste notare che i vostri bambini sviluppano due personalità differenti a seconda della lingua in cui si esprimono…non portateli dall’esorcista… è perfettamente normale. E’ una questione culturale, dipende da cosa assimilano e in che lingua. Noi notiamo che i nostri figli non gesticolano in inglese, ma lo fanno in italiano, i toni di voce sono diversi da una lingua all’altra: ciò significa che hanno ben chiaro il confine tra una lingua e l’altra e lo esprimono. Possiamo definirlo un ‘buon segno’.
Abbiamo parlato di differenze nella prestanza fisica: vero anzi verissimo! Si recupera col tempo, ma non sarebbe male dare un aiutino portandosi i bambini a fare un paio di km di corsa, o partire per dei giri in bici, o anche lasciarli al parco con gli altri bambini dopo la scuola perché provino a fare ciò che fanno gli altri. Iniziate presto con la piscina e, se vi sembra che ci sia la curiosità, prima si inizia con il rugby, meglio è: per il 70% il rugby è ‘testa’ e non fisico, anche se molti pensano il contrario. Il bambino italiano ha tendenzialmente molto timore del contatto fisico, non vuole far male e ha paura di farsi male, se non va non insistete. Il calcio c’è anche qui. LOL

Bambini da 12-17 anni: scuola secondaria
I ragazzini più grandi che arrivano privi di inglese hanno certamente bisogno di qualche tempo per ambientarsi, i programmi di recupero ci sono e funzionano, ma è anche vero che la famiglia può prepararli prima del grande passo. Scuola di inglese o anche scuola in inglese per un anno prima di lasciare l’Italia potrebbe essere una buona soluzione.
Certo ormai alle medie e alle superiori l’inglese si fa, ma c’è una grande differenza tra imparare delle regole grammaticali con professori per di più non madre lingua e l’esprimersi in inglese in tutte le materie. Magari la grammatica c’è, ma il lessico manca! Non pretendete che fili tutto liscio solo perché sono già grandi e “un po’ di inglese lo masticano”.
L’impatto psicologico sarà maggiore, avranno già amicizie di lunga data in Italia e sembrerà molto difficile rifarsele in Nuova Zelanda. D’altro canto le nozioni della scuola italiana li avvantaggeranno molto rispetto ai coetanei neozelandesi. Certo dovranno recuperare un po’ nella pratica, ma ci sono ragazzi molto felici finalmente di lasciare il libro di fisica per infilarsi finalmente in un laboratorio a mettere in pratica tutte le formule che prima sembravano un inutile spreco di memoria. La scuola secondaria si basa sulla socialità: ci sono club per tutto dalla danza, al teatro, dalla matematica allo spelling, dalla falegnameria alla robotica, dunque tante occasioni per socializzare, tante occasioni per parlare e farsi nuovi amici. L’inglese arriverà col tempo: che siano 6 mesi o un anno e mezzo poco importa, basta che siano felici e che non vedano la Nuova Zelanda come una punizione, una difficoltà in piu’ oltre a vedersi spuntare peli ovunque.
A questa età mantenere l’italiano non sarà un problema, partendo dal presupposto che l’italiano si parla in casa e l’inglese in tutte le altre occasioni.

E fino a qui si è parlato del bilinguismo dei bambini, dei tempi necessari, delle strategie e dei problemi che possono presentarsi, ma cosa succede agli adulti?